S.Angelo in Formis

Storia di Sant’Angelo in Formis

S. Angelo in Formis e un paesino frazione del comune di Capua, adagiato sulle falde del monte Tifata, sul suo versante settentrionale. Esso si colloca ap¬prossimativamente alla stessa distanza (circa tre Km) da S. Maria C.V. e da Capua, due citta che in tempi diversi e per diversi motivi ne hanno profondamente segnata la storia, senza che, beninteso, cio impedisse al paese di mantenere per i fatti storici di cui e stato teatro, una sua peculiare fisionomia e di conseguenza una sua ‘propria storia’.
Probabilmente S. Angelo in Formis trasse le sue origini da insediamenti opici, essendo opica (Volturnum) l’origine di Capua antica, l’odierna S. Maria Capua Vetere. Non possiamo non accennare pero in questo contesto, alla leggenda della fondazione di Capua da parte del troiano Capis, compagno di Enea: cio per due motivi fondamentali che chiamano direttamente in causa S. Angelo in Formis. Uno e il noto passo di Silio Italico dove l’antichita del culto di Diana, che aveva luogo appunto alle falde del Tifata, laddove oggi sorge la Basilica, e direttamente collegata a Capys e alla fondazione di Capua. Il secondo e piu legato ad indagini archeologiche fondate sul rapporto degli scavi condotti a S. Angelo in Formis dal colonnello G. Novi, illustre archeologo. Da tale rapporto sembra emergere la possibilita di un altro culto, quello di Cibele ed Attis, cio farebbe pensare alle origini dardaniche di Capua. Che tale culto fosse preesistente a quello di Diana come vuole il Novi, non e pero deducibile ne dai dati riportati dal succitato rapporto, ne dall’esame del materiale ritrovato che, purtroppo, come osserva il De Franciscis, sembra essere irrimediabilmente perduto. Non si puo quindi escludere che il culto sia stato introdotto sul Tifata come culto secondario dai greci (VII-VI sec. a.C.) nel momento in cui Diana diviene l’Artemide greca, oppure che sia arrivato a seguito dell’introduzione, nel 204 a.C., del culto di Cibele a Roma. Lo scopo sarebbe stato, cosi come a Roma, quello di riallacciare i legami con la leggendaria patria, cioe la Frigia. Infine il culto puo essere arrivato indipendentemente come altri culti orientali. Con la fondazione delle colonie greche di Cuma nel VII sec. a.C. e di Napoli e Pozzuoli nel VI sec. a.C., la Campania comincio a subire l’influenza culturale ellenica mentre, pressappoco nello stesso periodo gli Etruschi cominciavano ad espandersi dal Nord. Presumibilmente i greci raggiunsero l’interno risalendo il Volturno allora navigabile. Testimonianza della influenza greca a S. Angelo in Formis e proprio il culto sul Tifata della dea Diana Cacciatrice. Quando nel 471 a.C., secondo studi recenti, gli Etruschi diedero a Capua un assetto urbanistico e ne fecero la capitale di una Confederazione Etrusca della Campania, il tempio di Diana divenne il santuario federale della Lega. Infatti sembrerebbe che la prima costruzione del tempio sia coincidente con l’arrivo degli Etruschi. Con la decadenza di questi e la loro conseguente ritirata, i Sanniti gia insediatisi nelle valli del Calore e del Volturno, ne presero il posto. Capua fu conquistata tra il 438 e il 424 a.C. e S. Angelo in Formis subi la stessa sorte. La presenza sannita a S. Angelo e documentata da una pittura murale raffigurante un guerriero (arte di origine osca del IV-III sec. a.C.) trovata in una tomba e attualmente conservata al Museo Campano di Capua. L’ubicazione di altri ritrovamenti fa presumere che l’antico nucleo sannita sorgesse ai piedi del Tifata nei pressi del tempio di Diana.
In epoca romana il villaggio si sviluppo notevolmente intorno al santuario secondo i canoni urbanistici e architettonici di Roma. Con la venuta dei Vanda¬li nel 455 d.C., Capua fu distrutta e probabilmente anche S. Angelo in Formis. Inizia cosi un periodo di declino che termina con la costruzione della Basilica da parte di Desiderio nel 1072. La fisionomia di S. Angelo da un punto di vista urbanistico resto confinata nei pressi della Basilica ai piedi del monte sino al XVIII secolo.
Nel 1800 S. Angelo si avvia ad assumere la fisionomia attuale. E stato teatro di alcuni avvenimenti storici di grande importanza. Bisogna ricordare infatti che gran parte della guerra annibalica si svolse attorno a Capua e al Tifata. Sul Tifata Annibale si accampo ben due volte: la prima dopo la battaglia di Canne (216 a.C.) e la seconda per soccorrere Capua assediata dai Romani. E sempre sul Tifata che Silla, in ritiro da Brindisi, riporta un’importante vittoria sul console Norbano rendendo poi grazie alla dea Diana.
Tra gli avvenimenti che hanno caratterizzato il recente passato di S. Angelo ricordiamo la battaglia sul Volturno di Giuseppe Garibaldi nel 1860.
“Il 1 Ottobre 1860 si presento con una densa bruma proveniente dal fiume e copren¬do e nascondendo alla vista, come in un nembo di ovatta, uomini e cose. I Borbonici uscirono nottetempo dalla fortezza e per strade coperte (le cupe) si avviarono verso le linee garibaldine. Circa alle 5 del mattino finirono a contatto con le avanguardie nemiche alle paludi Ciccarelli. Il loro impeto le costrinse ad una rapida ritirata verso la gran guardia. Il capitano Iovine, con il binocolo, non riusciva a vedere i Borbonici che ad un centinaio di metri dalla sua postazione. Ne avviso Gaeta, il quale sparo una prima bordata, seguita da quella del cannone di Iovine. I Borbonici si arrestarono e subito caricati dai Garibaldini, ritornarono indietro. Immediatamente, sostenuti da altri re¬parti attaccanti, ripresero ad avanzare. Si impadronirono una prima volta della batte¬ria Gaeta. Altri reparti Borbonici tentarono di aggirare le posizioni garibaldine verso S. Iorio. Ma ecco che alcune granate, sparate dall’alto del Tifata li fermarono, e pron¬tamente caricati abbandonarono la batteria Gaeta ai legittimi proprietari. Si tratto ancora una volta di una breve ritirata, in quanto, sostenuti dalla propria artiglieria ripresero l’avanzata. Agli uomini del maggiore Dunne si erano aggiunti quelli di Spangaro e quelli del genio di Costa. Molti furono gli atti di eroismo e gli sforzi dall’una e dall’altra parte, ma le sorti rimanevano in bilico e la violenza della battaglia fruttava solo brevi avanzate o arretramenti. Garibaldi si trovava a S. Maria, udi chiaramente i cannoni ed i fucili all’opera a S. Angelo. Dalla loro intensita comprese che questa volta si trattava della vera battaglia e che le sue sorti sarebbero state decisive a favore dell’uno o dell’altro contendente. Si preoccupo del fatto che il fronte potesse essere rotto proprio tra S.Angelo e S. Maria, diede le istruzioni che ritenne piu idonee ed in carrozza si avvio verso S. Angelo con parte del suo Stato Maggiore. Intorno alle 6 del mattino, giunse presso il ponte Ciccarelli, che cavalca una di quelle cupe che da S. Angelo portavano a Capua Vi erano gia giunti reparti Borbonici, che non ci pensarono due volte a scaricare i loro fucili sul mucchio avanzante. Fu colpito a morte il cocchiere ed uno dei cavalli della carrozza. Garibaldi ed i suoi furono costretti a scendere a terra a dar di piglio alle sciabole, ma il pronto accorrere degli uomini di Mosto e dei Lombardi di Simonetta, li cavo da ogni impiccio, tanto che proseguirono verso il villaggio senza altri rilevanti problemi se non la constatazione che per buoni tratti del fronte il nemico aveva superato gia le prime linee garibaldine.
Garibaldi giunse a S. Angelo; dall’alto del monte osservo l’andamento del combattimento. Gli occorse assai poco per rendersi conto delle difficolta del momento e meno anco¬ra per chiamare a se alcuni reparti di passaggio e guidarli personalmente alla lotta la dove piu occorreva raddrizzare situazioni scabrose. Iniziando da S. Iorio, fino alla zona in cui cannoneggiava la batteria ‘Garibaldi’, le forze borboniche ebbero qual¬che sbandamento, il Generale capi l’attimo fatale, mando ordine al generale Turr di far confluire tutta la riserva a S.Maria, ne diede avviso a Medici, e per vie campestri ritorno a S.Maria. A Caserta, Turr, al ricevimento dell’ordine, avvalendosi dei materiali ferroviari disponibili, avvio verso S. Maria quanto aveva sottomano. In ultimo partirono lui stes¬so e Sirtori. Garibaldi, incurante dei proiettili che gli fischiavano intorno, attendeva con ansia le riserve nella piazza di S. Maria, perche enormi erano le difficolta che si andavano accumulando sui vari punti caldi del fronte. Milbitz, ferito, era stato costretto a cede¬re il comando. I battaglioni Corrao, La Porta, Pace, la brigata Assante, le truppe di Palizzola, di Lauge, di Sprovieri, di Malenchini e di Fardella, sostenuti dai pochi pezzi di artiglieria del maggiore Anghera, a malapena riuscivano a contenere l’azio¬ne nemica. Anche la compagnia francese De Flotte, il fedele amico e soldato caduto in Calabria, riusciva con atti di puro eroismo a mantenere inviolato il perimetro della masseria in cui si erano fortificati dalla forte pressione nemica. Appena i rinforzi arrivarono il contrattacco si paleso violentissimo e le sorti della battaglia si capovolsero. Alcuni reparti della Eber rafforzarono i tratti piu deboli tra S. Maria e S. Angelo aiutati in cio dagli Ussari e dai bersaglieri del I reggimento, alla destra la fanteria ungherese, la compagnia estera ed il II reggimento, al centro la brigata Milano della quale lo stesso Garibaldi prese la testa.
L’impeto dei volontari, esaltati dalla presenza del loro Generale, ebbe presto il sopravvento. Eroici furono gli Ungheresi, ed il loro valore fu riconosciuto da alleati ed avversari. A S. Angelo, Medici, raccolte le brigate Simonetta e Guastalla mosse l’ultimo poderoso attacco. Dopo di che i Borbonici, come gia a S. Maria iniziarono a retrocedere per ritrovarsi nelle posizioni di partenza. Resistevano ancora alcune formazioni nemiche nei pressi del convento dei Cappuccini, ma la pressione dei battaglioni Tanara, Tasca e Cucchi, appoggiati dagli uomi¬ni di La Porta e Corrao, le costrinse a far ritorno alla fortezza. Erano le 6 di sera. La battaglia si spense con la stessa rapidita con la quale si era accesa 12 ore prima. Nel momento in cui la battaglia iniziava a S. Angelo ed a S. Maria, si aveva, alla destra, che le forze comandate dal Perrone, circa 2000 uomini, si scontravano con il battaglione Ferracini, posizionato a Grottole ed all’Annunziata, per poi andare a cozzare contro il battaglione Sacchi, posizionato a Gradilli e San Leucio. Ruiz, intanto, avanzava verso Maddaloni avendo attraversato alla scafa di Limatola.
Sul suo cammino si trovo a dover fronteggiare Bronzetti e la sua guarnigione, ammontante a 300 uomini, che si era fortificata all’interno dei ruderi del castello del conte di Morrone, oramai dirupato ed i cui resti erano serviti per la co¬struzione di una canonica ed una chiesetta dedicata alla Madonna del Rosario. Lo scontro iniziatosi con un nutrito scambio di fucileria alla lontana, quando cioe i Borbonici iniziarono ad inerpicarsi per l’erto colle su cui sorgono quei ruderi, si concluse in un sanguinoso scontro all’arma bianca. Nel corso di esso lo stesso Bronzetti perse la vita. Ruiz si sarebbe dovuto riunire a Won Mechel, ma il ritardo causategli da Bronzetti risulto fatale allo stesso generale Svizzero. Perrone dopo aver superato gli ostacoli di Ferracini e Sacchi, avrebbe dovuto attaccare Caserta dal lato di S. Leucio e Casertavecchia. Won Mechel con i suoi 7000 uomini, buona parte bavaresi, e tre batterie, passato il Volturno per S. Erasmo si porto a Dugenta. Nelle zone del Molino e dell’Acquedotto si imbatte negli uomini della brigata Eberhardt e li sbaraglio. Si impadroni anche di Monte Caro.
L’impresa di Won Mechel era iniziata sotto i migliori auspici e sarebbe stata fatale per i Garibaldini, se solamente egli avesse avuto la prudenza di attendere i rinforzi prima di sferrare il suo attacco. Bixio, memore delle raccomandazioni del Generale, (egli che tanto spesso, come a Calatafimi ed in Calabria, aveva suggerito di ritirarsi, sentendosi sempre rispondere da Garibaldi: ‘Ma che dite Nino? Avanti! Avanti! Qui si fa l’Italia o si muore!!’), di ‘non dover cedere di un metro’, fece subito occupare San Salvatore e Villa Gualtieri preoccupandosi solo di resistere fino all’ultimo uomo. Il Colonnello Dezza, intanto, decise di tentare, con la sua brigata e gli aiuti appena ricevuti da Bixio, di riprendere Monte Caro. Con Menotti e Taddeo guido gli uomini alla riconquista della posizione appena per¬sa. La battaglia, accanita e violenta, duro diverse ore, ma alla fine i Bavaresi e gli Svizzeri, benche protetti dalle loro batterie, dovettero ridiscendere a rompicollo quelle balze. Giunti a valle ripresero la via per Dugenta.
Garibaldi, che intanto a S. Maria aveva gustato solo dei fichi offertigli dalla signora White Mario, era gia a S. Angelo presso la basilica, dove consumo finalmente una buona cena ed un caffe offerto dai carabinieri genovesi.
Ebbe un breve riposo e nella mattinata del 2 Ottobre era a Caserta per lo scontro con le truppe del Perrone. Nel corso della notte i volontari si stanziarono a S. Leucio. A Maddaloni era restata solamente una guarnigione, mentre Bixio occupava Monte Virgo; il Generale Eberhardt mosse verso Casertavecchia. Ruiz a conoscenza dei fatti di Maddaloni ritorno sui suoi passi. Perrone, all’oscuro di quanto accaduto si avvio ad attaccare Caserta con all’avanguardia gli uomini del Maggiore Nicoletti. I Borbonici conseguirono qualche successo, giungendo fino ai limiti dei giardini reali, ma praticamente accerchiati moltissimi furono catturati, pochi caddero, pochissimi riusciro¬no a ritornare a Capua.
Il 2 Ottobre, essendosi la guardia rifiutata, a Ritucci ed al Re, di riprendere i combattimenti sul fronte di S. Angelo e S. Maria, i Garibaldini si trovarono a dover fronteg¬giare le sole forze di Perrone.
Gli scontri tra Borbonici e Garibaldini continuarono fino al 15 Ottobre. Quel giorno lo scontro avvenne a S. Lazzaro. I borbonici in quella occasione erano comandati dal Colonnello De Liguoro.
Il 15 Ottobre da S. Angelo il Generale Garibaldi emano il Decreto di annessione del Regno delle due Sicilie al Regno d’Italia riportato qui di seguito e tratto dal giornale ‘1 Ottobre’ Numero unico.
Italia e Vittorio Emanuele
Per compiere un voto incontestabilmente caro alla Nazione intera, Io decreto che le Due Sicilie, che debbono la loro redenzione al sangue italiano e che mi hanno libera¬mente eletto Dittatore, fanno parte integrante dell’ITALIA UNA E INDIVISIBILE, col suo Re costituzionale Vittorio Emanuele e suoi discendenti. Io depositero nelle mani del Re, al suo arrivo, la Dittatura, che mi e stata conferita dalla Nazione. I Prodittatori sono incaricati del presente decreto.
S. Angelo 15 Ottobre 1860

La resa di Capua fu firmata a S. Maria il 2 Novembre a Palazzo Teti, dove Garibaldi fu ospite, presso il Sig. Raffaele, nel tempo passato in quella citta. La piazza di Capua si arrese il 3 Novembre, consegnando 10.000 prigionieri, armi, munizioni e derrate. Garibaldi si incontro con Vittorio Emanuele a Montecroce presso Teano il 26 Ottobre 1860. Il 7 di Novembre Garibaldi e Vittorio Emanuele entrarono in Napoli” (da La Battaglia del Volturno – A.P.A. – Associazione Pensionati Anziani S. Angelo in Formis a cura di Carmine Valletta).

Dopo la narrazione dei fatti che interessarono S. Angelo in Formis durante la Battaglia del Volturno, vediamo ora quali sono le origini del nome del paese. Varie le ipotesi circa l’origine del nome attribuito alla Basilica, passato poi ad indicare anche il paese. Nei documenti antichi si trovano oltre alla deno¬minazione ‘in Formis’, anche quelle ‘ad Formas’, ‘ex Forma’, ‘ad Formam’, ‘de Formis’. Secondo il Vecchioni tali dizioni si riferiscono ai «molti formali et acquedotti» che erano in questo luogo e che portavano acqua a Capua antica. Le forma erano presso i Romani le sagome di legno, su cui venivano modellati i canali, da usare nella costruzione di acquedotti. I resti di tali opere si possono ancora osservare in alcune contrade del paese, come nel bosco di S. Vito, per esempio. Ma in latino forma puo anche significare ‘pianta’, per cui il Pratilli suppone che la denominazione primitiva ‘ex forma’ si riferisce alla pianta o misura o numerazione dei terreni e precisamente alla dicitura ‘ex forma divi Augusti’ che frequentemente si rinviene sui cippi provenienti da S. Angelo, attestanti nuove donazioni e conferme dei numerosi possedimenti della dea ( Catasto di Augusto). Questa denominazione puo essersi confusa al tempo dei Longobardi con l’altra ‘ad formas’ o ‘in Formis’ derivante dagli acquedotti. Il capitolo 57 del libro I della Chronica Cassinensis di Leone Ostiense e cosi intitolato: Iudicium Papae Marini de Monasterio Sancti Angeli ad Formas sive ad arcum Dianae. E’ quindi probabile che la denominazione ‘ad arcum Dianae’ indicasse in pre¬cedenza il vicus che sorse intorno al tempio di Diana. Infatti, riguardo al vico, si ha notizia anche delle denominazioni ‘addiana’ e ‘ad Dianae’. Tali dizioni fanno subito pensare all’arco ancora presente sul lato meridionale della Basilica. Tale arco si fa risalire al secolo XI per la struttura architettonica, potrebbe pero racchiudere un arco piu antico, ricordando cosi uno degli accessi di cui l’antico santuario era dotato. L’arco, infatti, si apre nel muro di cinta del tempio che e ancora oggi visibile e che fu riutilizzato da Desiderio come recinzione degli edifici cenobitici. Non e certo pero che detto arco sia il vero ‘Arcus Dianae’, che sembra fosse stato eretto dai Capuani in onore di Settimio Severo. Il Novi rileva inoltre che, ai suoi tempi, i piedritti di un arco erano ancora presenti nel fondo De Paolis, sottostante il piazzale antistante la Chiesa.
Bisogna infine ricordare le dizioni S. Angelo in Piedimonte di Rocca, S. Agata di Capua (la vetta piu alta del Tifata fu chiamata S. Agata, prima che S. Nicola) e S. Angelo de Monte, che in alcuni casi sono state utilizzate per S. Angelo in Formis. Interessante anche una delle ultime ipotesi dello storico locale G. Bova il quale studiando una inedita pergamena del 1202 conservata nell’archivio storico arcivescovile di Capua – dove si legge in riferimento alla Basilica la denominazione ‘Ecclesia Sancti Angeli informis’ — da una interpretazione teologica del termine informis in senso di aggettivo, rifacendosi all’angelologia medievale, quindi informis equivarrebbe a ‘senza forma’ o ‘smisurato’.

Itinerario di visita

La frazione ospita la bellissima Basilica benedettina di Sant’Angelo in Formis. L’interesse della Basilica e dato, oltre che dalla sua architettura, anche dal fatto che insiste sull’antico tempio di Diana Tifatina, dea della caccia.
Non si puo determinare con precisione quando sia stata edificata la chiesa, ma certamente esisteva al tempo del vescovo di Capua Pietro I (925-938) perche questi la concesse ai monaci cassinesi per costruire un monastero. Probabilmente fu fondata in periodo anteriore dai principi longobardi che la dedicarono all’arcangelo Michele. Il vescovo capuano Sicone, nell’anno 944 tolse la chiesa ai benedettini in modo violento, come risulta dal regesto di S. Angelo in Formis. Solamente nell’anno 1073 a richiesta di papa Gregorio VII e del principe Riccardo I conte di Aversa, l’abate Desiderio ricostrui secondo un suo progetto la chiesa ed il monastero.
Desiderio nel ricostruire la chiesa penso di darle un diverso orientamento; infatti la precedente era orientata verso Capua Vecchia mentre la desideriana verso l’attuale Capua.
Il portico della basilica occupa parte della gradinata del tempio e la chiesa rispetto al tempio risulto allungata dall’aggiunta delle absidi. In passato alcuni studiosi hanno ritenuto che le colonne del tempio furono probabilmente utilizzate all’interno per costruire la doppia serie di sette colonne che dividono la chiesa in tre navate, mentre la diversita dei materiali utilizzati, che talora si osserva, e da attribuirsi ai vari rifacimenti dello stesso santuario.
Il capuano F. Vecchioni (1597-1675) riporta che ai suoi tempi si accedeva alla Basilica frontalmente, da ‘un’ampia largura’ adornata da una fonte, per mezzo di dodici scaloni di marmo. Oggi si accede al portico mediante cinque gradini di marmo. Il portico presenta quattro archi ogivali con volta a crociera e uno a tutto sesto, al centro, con volta a botte. Gli archi sono sostenuti da quattro colonne, due di granito e due di marmo cipollino e lateralmente da due pilastri in tufo. Il portico venne probabilmente rifatto a seguito di un crollo circa un secolo dopo la sua costruzione.
Dal portico si accede all’interno della Basilica attraverso una porta bassa e larga, messa in risalto da una cornice di marmo bianco. Sull’architrave della porta e scolpita l’epigrafe che ricorda la grande opera realizzata da Desiderio. Al di sopra dell’epigrafe ci sono due lunette; in quella inferiore e ritratto l’Arcan¬gelo Michele, in quella superiore un affresco raffigurante una vergine orante e due bellissime figure di angeli.
L’interno della basilica e suddiviso in tre navate terminanti in absidi. La navata centrale, piu ampia e lunga, e separata da quelle laterali, per mezzo di due serie di sette colonne sostenenti otto archi a tutto sesto. Nel pavimento si scorgono ora i resti dell’antico tempio, ora i mosaici dell’an¬tica chiesa distrutta di S. Benedetto in Capua, ora mattoni di epoca piu recente.
Recentemente il soffitto in legno, realizzato nel 1927, e stato rimosso per il rifacimento del manto di copertura. Tale soffitto ando a sostituire quello in tela, opera dell’abate commendatario Giuseppe Renato Imperiale, che nel 1732 «adorno elegantemente gli altari, aggiunse i soffitti, e la doto dei sacri arredi» come si ricava da un’epigrafe del portico non piu presente. Prima di tale tela probabilmente la tettoia era a vista. L’altare attuale consiste in un sarcofago ro¬mano ricoperto da un basamento di legno. Alla sinistra dell’altare e collocato un pulpito di forma quadrata; la parte anteriore e ornata da un’aquila acefala che reca fra gli artigli il Vangelo aperto. Originariamente il pulpito era rivestito di mosaici ormai scomparsi e fino al 1776 era nel mezzo della chiesa.
La facciata ed il campanile risalgono al XII secolo. L’interesse per la basilica e accresciuto dagli affreschi che ne decorano l’interno costituendo il maggior ciclo pittorico, relativo ai secoli XI e XII, conservato nell’Italia meridionale. Sulle pareti della navata centrale si possono ammirare episodi del Nuovo Testamento, nelle navate laterali episodi del Vecchio Testamento disposti su due registri sovrapposti, suddivisi in riquadri distinti da colonnine di varia forma, mentre nell’abside principale Cristo benedicente con i simboli degli Evangelisti e nella parte inferiore I tre Arcangeli e l’abate Desiderio che offre il modello della chiesa. In controfacciata vi e il Giudizio Universale.
In localita S. Iorio, una contrada di Sant’Angelo in Formis, sorge la chiesa di S. Antonio di Padova. Nel saggio La Basilica di S. Angelo in Formis nella storia e nell’arte pubblicato nel 1912 da Pasquale Parente si ha notizia di diverse cappelle che sorgevano alle falde del monte Tifata gia nell’anno mille, cappelle che, insieme ad altre costruite successivamente, vengono citate anche nel 1766; tra queste una cappella edificata nella contrada S. Iorio a spese di padre Bonaventura da Casanova, monaco che giunse a S. Angelo per costituire una comunita di monaci grigi dell’ordine di San Francesco. Nel 1864 un ricco proprietario terreno, il signor Lucarelli, dono quattro stanzette e tre moggi di terreno alle Pie Opere della Palma di Napoli, per realizzare una scuola gratuita elementare per i bambini poveri (Don Donato Giannotti – a cura di Felice Provvisto). Padre Bonaventura da Casanova fu incaricato da padre Ludovico da Casoria di occuparsi della costituzione della comunita. Ad assistere padre Bonaventura nello svolgimento delle sue funzioni era fra ‘Ntonio. Purtroppo un incendio distrusse la cappella che poi fu ricostruita grazie ai fedeli del luogo. Sulla porta della chiesa di S. Maria degli Angeli, l’attuale chiesa di S. Antonio, padre Bonaventura fece apporre lo stemma dell’ordine francescano, rubato diversi anni fa. La chiesetta di S. Maria degli Angeli, pero, sempre secondo il Provvisto, il 2 agosto del 1864 fu benedetta abusivamente da padre Bonaventura. Il frate fu espulso dall’arcidiocesi dal vicario capitolare di Capua e la cappella fu chiusa al culto.
Quindi nel novembre del 1873, venuta in possesso del comune di capua, fu riaperta per essere officiata da un vicario del parroco di S. Marcello Maggiore, che la benedisse solennemente l’8 dicembre dello stesso anno. Nel gennaio del 1879 il padre Bonaventura ricomparve per riappropriarsi della chiesa in maniera illegale. Sembra che nel 1906 padre Bonaventura si trovasse ancora a S. Iorio e che sostitui la statua di San Francesco con quella di Sant’Antonio. Poi, in seguito alla scomparsa del frate, un sacerdote celebrava la Santa Messa la domenica. Ed e nella chiesa di S. Iorio che in generale Garibaldi firmo il 15 ottobre del 1860 il Decreto di annessione del Regno delle due Sicilie al Regno d’Italia. Nel 1920 iniziarono i lavori di ampliamento della cappella, che originariamente iniziava con l’attuale ingresso e terminava nella cripta di fronte, che oggi ospita un grande crocifisso. Ancora oggi e possibile vedere l’arco che delimitava l’originaria cappella e l’ingresso che conduceva ad un vano sotterraneo, utilizzato come riparo dell’asino. Nel 1929 il falegname Michele Penna costrui e dono alla chiesa il baldacchino di legno sul quale poggia la statua di S. Antonio. Nel 1928 la cappella, diventata parrocchia nel 1927, fu civilmente riconosciuta per intervento del delegato amministrativo locale Paolo Ianni. Negli anni ’50 la chiesa di S. Antonio fu ulteriormente ampliata, con la costruzione di una nuova ala e di un soppalco per il coro. Con l’attuale parroco, don Franco Duonnolo e stata ristrutturata l’ex abitazione del custode della chiesa, trasformata in un centro di ascolto dedicato alla memoria di don Francesco Paradiso. Ogni anno, in occasione della festa di S. Antonio di Padova un apposito comitato organizza solenni festeggiamenti per celebrare il Santo.
Altro sito di notevole rilevanza e rappresentato dalle Tombe dei Garibaldini. Il Cimitero fu edificato nel 1880 dal Comune di Capua ed in esso furono inumate le spoglie di diversi garibaldini caduti durante la Battaglia del Volturno, tra i quali il piu giovane dei volontari garibaldini, il diciassettenne Lamberto Lamberti (una strada di S. Angelo in Formis porta il suo nome). Nel 1886, in seguito ad un’apposita delibera del Consiglio municipale del 1 ottobre, gli amministratori comunali stabilivano la realizzazione di un monumento ossario, che ricordasse ai posteri l’evento storico e l’eroismo dei prodi che offrirono generosamente la vita alla causa della liberta. Quale luogo per l’innalzamento del monumento venne indicato “il luogo medesimo che fu centro di tutta l’azione militare di quel giorno, dove si decisero le sorti della Nazione, e dove Garibaldi volle firmare il decreto, affermando l’unita con Vittorio Emanuele, dichiarando le due Sicilie parte integrante dell’Italia una e indivisibile”, vale a dire Sant’Angelo in Formis. Purtroppo, gli eventi si svolsero diversamente e l’ossario fu edificato a Santa Maria C.V. (monumento che si puo ammirare nella villa comunale della citta). Successivamente, nel 1888, il Comune di Capua rese il cimitero garibaldino di Sant’Angelo in Formis piu imponente.
Poco distante dalle Tombe dei Garibaldini si erge il Sacrario dell’Armata Silente, inaugurato qualche anno fa. Il Sacrario fu edificato in ricordo di alcuni ragazzi della RSI (Repubblica Sociale Italiana) che nel 1944 vennero condannati a morte e fucilati nella cava di pozzolana di Sant’Angelo in Formis, che ora ospita il Sacrario, dall’invasore angloamericano.
Altri luoghi di valenza storica nel cuore della frazione sono: l’Arco di Diana, Piazza Giubileo, il Lavatoio pubblico, alimentato da una fontana romana.

Bibliografia:
– S. Angelo in Formis. Il tempio, la Basilica, gli angeli – Francesco Duonnolo
– Ricorda…Racconta…Cammina. La chiesa di S. Antonio di Padova in S. Angelo in Formis – G. Garonna, A. Aversano Stabile, A. Catapano, F. Duonnolo
– La Battaglia del Volturno – A.P.A. (Associazione Pensionati Anziani) di S. Angelo in Formis a cura di Carmine Valletta

Ultimo aggiornamento

10 Febbraio 2021, 16:59